venerdì 5 dicembre 2008

La filosofia nel fluire multimediale

Ritengo che la multimedialità sia un ottimo mezzo di diffusione, di fruizione e di interazione.
Diffusione: raggiungibile da tutti coloro che usano il computer, internet e i motori di ricerca. Per esempio se si scrive in un motore di ricerca fra quelli più in uso l'espressione: filosofia della moda, appare, con orgoglio della sottoscritta, il sito di Modalogia, filosofia della moda, primo in Italia ad occuparsi di questa disciplina. Si può aggiungere, oltre alla diffusione, l'innovazione sia nell'informare che nel fruire di ciò che si trova pensato e scritto on line.
La fruizione è complementare alla diffusione: io fruisco del contenuto multimediale, se esso è presente on line, se il motore di ricerca lo trova, se quindi il mio contenuto è ben indicizzato.
La vera novità del multimediale si trova però nell'interazione: io fruisco di un'informazione e posso interagire con il testo e l'autore, leggendo, commentando, dialogando con chi scrive anche on line, anche in simultanea (dipende dal mezzo impiegato). Posso chiedere chiarimenti, produrre obiezioni, creare discussioni., Meraviglia dell'ermeneutica e sua evoluzione tecnologica, il multimediale permette un dialogo fra autore, testo e lettore che prima non era mai stato così diretto. Se Gadamer avesse avuto un blog, ne sarebbe uscito un nuovo "Verità e metodo - 1960" e lui, che si è fermato alle interviste, ne sarebbe rimasto entusiasta per l'immediatezza e l'interattività. Con i nuovi mezzi si stabilisce un fruire reciproco di notizie e informazioni fra lettore e autore che serve a tutti: a chi scrive per comprendere la validità di ciò che si è scritto e si voleva comunicare, per chi legge: che trova nell'interazione un completamento della comprensione.

mercoledì 26 novembre 2008

Kierkegaard ci disse di scegliere

Viviamo nel mondo delle immagini, nel mondo dei guardoni. Il grande fratello è ovunque. Da facebook a Myspace e lifeintwo, tutti guardano tutti e godono. Godono di un'immagine vista, fantasticano su una storia on line, fatta di sesso virtuale, appena guardato e simulato. Tu sei tu, ma non sei tu. Basta un clic e tutto è spento, tutto se ne va. La seduzione si gioca sull'immagine e sul racconto, virtuali entrambi, falsati entrambi. Per l'immagine si cerca il lato migliore, il profilo migliore, l'apparizione migliore. Lì sorridevo va bene, non importa se ho una vita cupa. E allora tutti possono diventare tutto e niente, essere tutto e niente, godere di tutto e niente, alienarsi, spersonalizzarsi, essere nessuno, solo un'immagine virtuale che quando diventa reale si spenge alla noia del quotidiano. Il virtuale ci fa godere per quel che è: una finestra sul sogno, di essere altro, in un altro posto, in un altro momento, mai noi stessi. Ma Kierkegaard ci disse di scegliere: cosa vuoi essere un'immagine di seduzione o una persona?

sabato 11 ottobre 2008

Il bello secondo Kant e secondo noi

Il bello secondo Kant e secondo noi
Kant sostiene che il bello è ciò che si comunica universalmente. Se io ti dico: questo donna è bella. Anche se tu non la ritieni il tuo ideale di donna ma in lei ci sono delle caratteristiche che non ti infastidiscono, tu la giudichi bella come la giudico io. Kant, nella sua genialità, ha proposto l’universale negativo: basta che non nuoccia al senso estetico ossia che non infastidisca lo sguardo e si giudica bello anche se proprio non ci esalta, non eccita la nostra libido. Il bello è comunicabile socialmente, mi spiego: in una società che si evolve ci sono delle connotazioni di bello in cui tutti ci ritroviamo e che valgono per tutti noi. Per es. tutti giudichiamo bella Elisabetta Canalis così come Cristina Chiabotto, due icone diverse fra loro ma che incarnano la bellezza ai giorni nostri. Noi però, credo, abbiamo subito un mutamento nel nostro provar piacere di fronte al bello, ci piacciono cose nuove, diverse rispetto ai nostri antenati. Ci piace il trash. Siamo capaci di giudicare bello, ossia che non ci infastidisce, “L’isola dei Famosi” e “La talpa”, nonostante possiamo essere in disaccordo sul fatto che siano belle trasmissioni ossia ben fatte, piacevoli da guardare. Non ci infastidiscono e le guardiamo . ma questo basta per dire che sono belle? Indagando Kant mi sovviene alla mente il fatto che lui giudicasse bello anche qualcosa che è in armonia con il buono che troviamo in noi. Ma siccome in noi di buono c’è gran poco oramai, ci troviamo in armonia con il trash.

sabato 13 settembre 2008

Amor e psiche

La favola di Amore e Psiche affascina studenti di tutte le generazioni. La si potrebbe riprodurre in versione bloggara: psiche come autrice dei post e amore lì a commentare, decantandone le lodi razionali e belle. Amore ricorda Dioniso e Pische, Apollo, nella sua purezza razionale ma limitata e lui nel suo furor d'amore come ci insegna Giordano Bruno che dell'amore ne ha fatto un vanto e l'ha tradotto in filosofia. Perché amare? Amare è bello in tutte le sue forme: dalle più carnali alle spirituali, basta amare. Allora perché non amar il bel ragionamento che il filosofar produce, che se poi portato in rete, ad amore del commento conduce. E' uscito un post in rima perché anche la scrittura gode se in bella forma. Introduciamo il nuovo anno con la passion che ci adorna. Restiamo attaccati alla ragione e alle sue forme belle che amor ci aiuta a seguirne le arti in tutte le sue facce grasse e snelle. Destreggiamoci nell'arte del bello ragionare e chissà che amor non arrivi anche per noi con il saper da farci amare.

martedì 3 giugno 2008

la moda secondo Gadamer

Chi ha letto “Verita e metodo” (1960) oppure ha sentito il termine Ermeneutica, ha come minimo una vaga idea di ciò che vado ad affrontare. Ma spero di rendere chiari i concetti anche a coloro che Gadamer non lo hanno mai letto. Mi è venuta l’idea di applicare il circolo ermeneutico, che l’autore applica ai libri di testo, alla moda e al suo mondo che può essere visto come un circolo dove però si interpreta anche il soggetto. Così come il lettore domanda senso al testo, gli chiede cosa significa questo e quello, si pone domande a cui il testo risponde, lo stesso fa chi indossa un abito il mattino o meglio lo acquista, chiede all’abito di interpretare uno stile, di rispondere ad una domanda di conferimento di senso: io chiedo all’abito di supplire una determinata funzione. Essere pratico o elegante, adatto a quella o questa circostanza. Ma chiedo ad esso anche un senso: gli chiedo di interpretare il mio stile. L’abito risponde a questa esigenza. La sua risposta non è direttamente soddisfazione di una domanda di senso ma lo è indirettamente perché fornisce senso a me che lo indosso, mi interpreta e io mi sento interpretato da esso. La differenza fra il testo interpretato dal lettore secondo Gadamer e l’abito interpretato da me è che il vero senso viene ricevuto da chi indossa l’abito e non tanto dall’abito stesso che rimane un oggetto, un mezzo; esso parla attraverso la persona che lo indossa, ne rivela uno stile, un carattere, una personalità peculiare. Quindi il vero interpretato è il cliente. La persona che acquista un abito perché esso gli regala uno stile, conferisce senso alla sua ricerca di stile, alla sua domanda: che stile indosso? Che stile rappresento? E lo riferisce anche a chi guarda. Allora la domanda è rivolta a chi guarda colui che indossa l’abito e la la domanda dell’osservatore è: ma chi sei? e l’abito insieme all’uomo risponde e il circolo si chiude. L’abito acquista senso grazie a chi lo indossa e a chi osserva colui che indossa. Diventa un quadrato costruito da abito, indossatore, osservatore, domanda-risposta che si rivolge in tutte le direzioni.



è come se ci fossero due livelli di interrogazione: quello centrale che va dalla domanda alla risposta, fornita dall’abito all’osservatore grazie all’indossatore e il secondo livello sotteso ma altrettanto importante che va dall’osservatore all’abito all’indossatore, che si interroga su di sé, e si fornisce una risposta, grazie all’abito, alla domanda: quale è il mio stile? Infine egli regala la propria risposta a chi osserva.

domenica 11 maggio 2008

La scelta della donna

"Troppo a lungo nella donna si celarono uno schiavo e un tiranno. Perciò la donna non è ancora capace di amicizia; essa conosce solo l'amore. Nell'amore della donna è ingiustizia e cecità per tutto ciò che essa non ama. E anche nell'amore cosciente della donna c'è sempre, insieme con la luce, aggressione, lampo, e notte. La donna non è ancora capace di amicizia: le donne sono sempre gatte, e uccelli. O, nel migliore dei casi, vacche" (Nietzsche, Zarathustra).

Una visione della donna niente affatto lusinghiera ma a tratti acuta caratterizza questo passo dello Zarathustra dedicato all'essere femminile. Come se nella femminilità si fosse concentrato tutto ciò che è corrosivo. La donna secondo Nietzsche distrugge, è solo l'uomo colui che crea nell'accezione dell'oltre-uomo. La donna non si purifica dai propri difetti e dalle proprie debolezze, l'uomo solo è in grado di purificarsi e di divenire profeta del proprio cambiamento e rinnovamento.
La società non ha mutato di molto l'impressione che Nietzsche ebbe della donna. Ma le donne sono consapevoli di se stesse? Si riconoscono in questa accezione e dissentono da essa? La donna ha attitudini e modalità di espressione e comportamento diverse dall'uomo ma condivide con lui valori e con lui li crea. Io ritengo che la donna sia portatrice di senso; basti pensare alle donne in politica e nelle scienza nonché nella letteratura, donne che anche lo stesso Nietzsche avrebbe definito superuomini. Nonostante ciò in momenti di crisi sociale ed economica si vuole relegare la donna ad un ruolo marginale, impedirle di scegliere di svolgere mansioni di primo piano.
E le donne stesse si accontentano di questi ruoli. Perché? La società le ha indotte a combattere per ottenere ruoli, posizioni e riconoscimenti che a tratti sfumano e a tratti permangono, dando la sensazione che ci sia un nulla di fatto. Alla donna spettano troppi ruoli nei quali si barcamena con successo anche ma che la sfiancano e a volte si chiede se vale ancora la pena di lottare; l'eterno ritorno di Nietzsche prevede anche il regresso? Io credo di si. E la donna è pronta a regredire al ruolo di madre, se necessario ma non può esserle tolta la parola, il diritto alla scelta, il diritto di creare senso autonomamente e propriamente attraverso un'azione che sia sua e non frutto del pesante consiglio maschile che si traduce in un obbligo per tutelare un diritto: quello della supremazia che la civiltà nega ma che la natura urla. Il machismo non è mai morto.

mercoledì 30 aprile 2008

la storia soggettiva

Una volta si diceva: E se la guerra l’avesse vinta Hitler? Ora si dice: e se la storia del dopoguerra l’avesse scritta Hitler? Ha provato a farlo Piergiorgio Odifreddi, matematico e opinionista dei più acuti a mio parere, che ha scritto la storia del dopoguerra intervistando il dittatore e ne sono uscite delle belle: gli Usa, i veri maestri del genocidio e della democrazia imposta.
Non sono novità, direte voi. No, non lo sono..ma stranamente se ne parla sempre poco e i più ricordano l’olocausto e non lo sterminio degli indiani d’America o quello degli aztechi in nome della croce e non solo. La storia del Vietnam sentita da vietnamiti deve essere nuova musica per le orecchie e gli occhi abituati ai polpettoni alla Spielberg. E allora perché non proviamo a guardare la storia anche con gli occhi altrui? Forse vedremo un mondo nuovo, sicuramente diverso.


Il postino Mario diceva a Neruda che la poesia è di chi la usa (Il postino) e io dico parafrasando Odifreddi che la storia è di chi la scrive, che se ne impossessa e la fa sa sua per giustificare le proprie scelte alla luce de poi e non dell’ora e dell’adesso.

lunedì 21 aprile 2008

La personal shopper e la dialettica servo-padrone

Il servo ha paura della morte e si pone inerte di fronte all’essere della natura che lo sovrasta. La personal stopper è inerte di fronte alla vetrina e non può’ comprare nulla. È piegata dal carovita. Non ha paura di morire di fame, fra poco ci muore davvero. Il padrone domina il mondo e piega il servo al suo volere, il quale preferisce obbedire piuttosto che affrontare la vita e la morte. La personal shopper è piegata al potere del denaro della signora che serve. Non ha di che realizzarsi e quindi realizza i desideri di qualcun altro. Il servo produce per il suo signore e crea qc che assume una forma: un oggetto, un pranzo, un abito. Diventa artefice e il suo oggetto è indipendente da lui. Ha finalmente creato qc di suo che è frutto del suo fare e si sente realizzato perché ha messo in atto le proprie capacità formatrici. Ma la personal shopper di cosa dovrebbe sentirsi fiera? Che cosa ha realizzato? Lo stile della sua signora? Se la signora non ne ha. Se la signora la lascia fare. Se non è una mera esecutrice ma una realizzatrice di moda e stile, se il suo acquisto è libero come diventa libero il servo quando crea, libero dal prodotto di cui non gode e libero dal signore da cui si allontana avendo ora un modo suo di dominare la vita, la propria creatività. La personal shopper è creativa? In un certo senso si. Crea stili. E allora la via per rendersi davvero indipendente e realizzarsi non è restare al fianco della signora di cui ne subisce le facoltà (in termini di gusto e denaro) ma creare un’attività sua propria magari come consulente d’immagine.

domenica 13 aprile 2008

linguaggio e uso

Il senso di una proposizione (cioè la sua verità o falsità) era data secondo il primo Wittgestein dalla corrispondenza con un fatto, chiamato anche stato di cose. il resto era vanità o non senso, tanto che da Wittgestein era chiamato mistico ossia l'ineffabile, ciò di cui non si può parlare. Se prendiamo come esempio una proposizione che, usando il mezzo blog, ci riguarda da vicino dovremmo dire: il blog è un insieme di caratteri scritti che descrivono un pensiero che si traduce in una pagina da leggere.
Che tristezza.
Anche Wittgestein si rese perfettamente conto che il linguaggio non si riduce a ciò, che non può essere solo espressione di uno stato di cose e che la definizione che ho dato prima (inventata da me, potrei sbagliarmi del definirla alla Wittgestein e aspetto critiche se ciò fosse) è limitante e riduttiva. Potremmo altrettanto dire: il blog è arte o il blog è letteratura, solo che in questo caso avremmo creato una proposizione che difficilmente corrisponde a uno stato di cose e ci addentreremmo nella metafisica e nel mistico appunto perché è estremamente difficile definire cosa è l'arte e cosa è la letteratura e poi l'arte e la letteratura non corrispondono a semplici fatti, sono descrizioni di fatti che nel loro significato implicano molto di più. Sono attività, direbbe Wittgestein ossia chiarificano il pensiero e il linguaggio escludendo dal senso tutto ciò che non corrisponde a stati di cose. Alla fine si arriverebbe al paradosso che l'arte non ha senso cosi come la letteratura. Allora Dovremmo correggere il tiro come fa il secondo Wittgestein (quello delle Richerche filosofiche) e dire che il linguaggio non ha senso se e solo se ad esso corrisponde un fatto o più fatti ma ha plurimi sensi e significati a seconda dell'uso che se ne fa. E allora il blog prende vita e diventa tutto ciò che noi vogliamo, dipende appunto dall'uso che ne facciamo.

domenica 30 marzo 2008

Un'illusione

Tante sono le illusioni del nostro vivere..potrebbe essere una di queste la libertà? Ci riteniamo liberi da sempre ma lo siamo davvero? In fondo la denuncia di un tale stato è desiderio, diritto addirittura considerato inalienabile. E' così? Si è mai realizzato appieno tale diritto? La questione mi spinge a fare alcune riflessioni sia di carattere ontologico-esistenziale che di carattere sociale. La prima è: Cosa è libero del nostro essere? La mente? imprigionata da sempre in un corpo che si modifica e trasforma al di là dei nostri desideri e della nostra volontà? Il corpo che è sacrificato e condizionato e forse nel migliore dei casi guidato all'agire dalla mente? Trovassero un accordo, ci sarebbe un perfetto equilibrio e da qui la soluzione: finalmente liberi. Invece no. A parte che trovare un equilibrio è solo dei saggi e non sempre riesce ma rimane il fatto che il nostre essere, supponiamo combinazione di mente e corpo , non è mai isolato. Vive in un ambiente che comunque lo condiziona sia a livello naturale che a livello sociale. Come a dire con il famoso motto: la mia libertà finisce dove inizia l'altro. Questo altro è l'ambiente e sono gli altri esseri umani. E allora casa è la libertà? Un'illusione? Un'invenzione degli illuministi ispirati ai filosofi del '600 che la desideravano proprio perché non l'avevano? Serve alla politica? Credo che la libertà sia un'ideale che fungge da principio di compromesso. Io ti grantisco un determinato margine di azione in cambio di un favore, sia esso il tuo voto o il tuo rispetto. Rispetto di regole che mi garantiscono altrettanto un margine. E allora la libertà diventa patto e questo i giusnaturalisti lo avevano ben capito. Solo che essa non è più diritto inalienabile e principio naturale , rimane una convenzione e trova la sua garanzia solo in se stessa.

domenica 16 marzo 2008

Il cammello e.....

Io sono un cammello, accetto tutto: datemi un Dio è sarà il mio Dio. Datemi una morale e sarà la mia morale. Un giorno il cammello incontra il forte leone, il leone con la sua volontà di potenza lo spazza via, lo distrugge. Prevale la legge del più forte: i deboli soccombono e i forti, coloro che sanno imporre la propria volontà si affermano. Il forte distrugge il passato, la filosofia vecchia che si piega alla volontà dell'etica già data e della storia lineare, a senso unico. Dalla distruzione del tutto arriva una vita nuova quella del fanciullo che si apre al mondo e a tutto ciò che il mondo gli offre e lo prende e accetta: amore, odio, ragione, passione, desiderio e tragicità. tutto ciò fa parte della vita e per questo va presa e va vissuta senza troppi pregiudizi o paranoie. Questo è il superuomo di Nietzsche: colui che accetta il mondo per ciò che è con tutte le sue contraddizioni. Colui che si fa profeta di un futuro terreno e non oltremondano perché la vita è qui e non altrove; colui che crea senso con l'agire di nel mondo, sentendo con il corpo ed esprimendo senso con l'arte e con la tecnica. Colui che arriva a comprendere che la sua verità è solo una favola, una delle tante possibili interpretazioni del mondo. (Breve interpretazione del senso dell'opera "Così parlò Zarathustra").

sabato 8 marzo 2008

Cosa arcana e stupenda

Abbiamo un filosofo e lo consideriamo solo un poeta. Uno dei più grandi. La commistione fra filosofia e poesia è spesso un velo sottile: grandi autori lo capirono da Platone (che pure disprezzava l'arte ma era poetico in ogni suo verso) e Aristotele e Agostino e Vico e Giacomo Leopardi che ha scritto poesie ontologiche fra le migliori, che ha anticipato i temi della grande filosofia nietzschiana, che è stato sottovalutato in questo ruolo come Hume perché ha avuto la sfortuna di avere dopo di un Kant e lui, il nostro, si è trovato un gigante della lirica filosofica quale è stato Nietzsche. Trovo Leopardi addirittura superiore perché aggiunge alla bellezza estetica del verso la chiarezza del significato che forse Nietzsche non ha perché vuole essere esoterico, per pochi, per gli aristocratici del pensiero. Leopardi era sicuramente più democratico e metteva a disposizione di tutti la comprensione dei propri versi. Non importa se poi pochi comprendevano ed apprezzavano. L'intento era chiaro: donare a tutti una chiave di lettura del mondo, la più realistica possibile per un uomo disincantato come era lui. E allora chiudiamo con dei versi meravigliosi e lascio al lettore il piacere dell'interpretazione perché essa rimane un gusto e un'impresa personale:

"Cosa arcana e stupenda

oggi è la vita al pensier nostro, e tale

qual de' vivi al pensiero

l'ignota morte appar."

Buona lettura e buon gusto!

sabato 1 marzo 2008

L'educazione passa dallo sport

Questo post apparirà su entrambi i miei blog di Google perché credo fermamente nel valore educativo dello sport. Lo sport educa la mente attraverso il corpo. Gli antichi, greci e romani, avevano talmente chiaro il concetto da renderlo parte integrante dell'educazione del fanciullo fin dalla tenera età. Platone, il più astratto dei filosofi, apprezzava lo sport quanto la matematica e nell'educazione del futuro governante non c'era solo la filosofia ma c'era l'attività fisica. Noi contemporanei, dopo anni di vita sedentaria nelle nostre poltrone d'ufficio, riscopriamo il valore dell'attività sportiva e sembra che anche il Governo, oramai decaduto, ne abbia appreso l'importanza permettendo (nella finanziaria è previsto) di detrarre dalle tasse una percentuale per le attività sportive dei propri figli.
Cosa insegna lo sport? Insegna la costante educazione alla fatica e al rigore nonché l'allenamento all'esercizio. Valori indispensabili nel quotidiano di ognuno da bambini fino alla vecchiaia. Portare a termine un compito fa parte della vita, continuare anche quando ci si sente sconfitti aiuta a rispondere alle disfatte e a trovare soluzioni. Lo sport come la filosofia allena la mente perché propone alternative alla resa. Non arrendersi nel mondo feroce e individualista che oggi ci troviamo di fronte è una grande risorsa e lo sport la propone come modus operandi costante.

domenica 10 febbraio 2008

Una tenda




è un rifugio. Una tenda è un viaggio. Una tenda è un riparo. L'uomo l'ha usata come prima casa. Il blog è una tenda dove proteggersi, restare lì sotto un po' per trovare conforto e sostegno, per incontrare altri nomadi che regalano pensieri e donano riflessioni a tutti. Il nomade è del deserto, il deserto e la sua sabbia sono di tutti. La blogosfera è come un deserto pieno di tutto e niente, pieno di noi che scriviamo e non sappiamo dove buttare i nostri pensieri. Pieno di sofferenze e di cicatrici che sono nel mondo da sempre, solo che ora non passano più sotto silenzio ma venogno urlate nella tenda del deserto.


domenica 3 febbraio 2008

Il tradimento

E' un tema che mi tocca da vicino e che sento appartenere a molti. Trovo giusto quindi provare a farne un'analisi filosofica cercando di trovarne il significato vero nelle sue varie sfacettature. Già, perchè ritengo che non esista una sola forma di tradimento. Per capire però bisogna partire dal significato che si attribuisce al termine. Tra-dire implica un nascondere, un dire fra le righe che qualcosa non ha funzionato, non è andata. Le aspettative che si avevano nei confronti di una persona o di un progetto sono stati delusi. Quindi si tradiscono persone ma anche ideali e aspettative e desideri. Tra-dire significa deludere, ingannare l'altro, il tradito ma anche se stessi, la fiducia nella proprie capacità di essere coerenti rispetto a qualcosa che si doveva e si voleva mantenere. Tra-dire implica quindi una rivelazione: la rivelazione del fallimento di un progetto costruito insieme a qualcuno o semplicemente da soli. Il tradimento è una sconfitta. Si sconfiggono le stime che si hanno di sè e degli altri. Il tradimento rivela un'illusione, l'illusoria credenza in valori che si reputavano sacri o più semplicemente rispettabili, nel senso che avrebbero dovuto essere degni di rispetto.

"Il tradimento è simile ai diamanti: non ci guadagna chi commercia al dettaglio." Douglas Jerrold

Come a dire: se non apprezzi, non promettere. La banalità non è degna.

domenica 27 gennaio 2008

Discernere

La capacità di discernere sta alla base della conoscenza. Già Platone aveva messo in evidenza la necessità di distinguere il molteplice dall'uno per non perdere il senso del -non- come diverso anziché come nulla (Parmenide) e ridursi alla mera unità che può essere tutto ma può anche essere limite e quindi poco. Aristotele aveva diviso la fisica dalla metafisica, i medievali il cielo dalla terra, i moderni la scienza dalla filosofia, Cartesio la mente dal corpo, Kant il fenomeno dal noumeno ed Hegel il soggetto dall' oggetto nonché la logica dalla realtà. Freud il conscio dall'inconscio, Nietzsche il poeta dal filosofo, Heidegger l'ente dall' essere e così via. Il percorso è lungo e infinito e si può concludere con un altro degli assunti a me tanto cari ossia che con il discernere si applica la capacità di analisi: sciogliere i nodi del ragionamento in ogni questione possibile per poi riprenderli recuperandone l'essenziale attraverso la sintesi. Il discernere presuppone l'analisi ed è costruttivo se si conclude con la sintesi.

domenica 20 gennaio 2008

La vertigine

Avete provato le vertigini? Vi manca il respiro e sentite il vuoto tutto intorno. Trasformiamo il concetto in chiave filosofica e abbiamo di fronte a noi il nulla. Ma il nulla è davvero senza significato? Per gli antichi greci e i metafisici classici lo era, tanto che valeva il motto : "dal nulla non deriva nulla". Il che significa che se non c'è niente, niente si costituisce. In realtà i cristiani con il principio della creazione hanno modificato tale principio e hanno inventato il principio di causalità assoluta: dal niente può derivare qualcosa se qualcuno dal nulla crea ossia costituisce dal nulla grazie alla sua infinita potenzialità. Il nulla si è arricchito di potenzialità assolute ed è diventato l'infinita possibilità del tutto. Quindi noi di fronte al nulla proviamo sempre angoscia e le vertigini; ma il senso di vuoto si supera delimitando il nulla e quindi definendolo. De-finire, de-limitare significa conoscere ossia fornire di senso il nulla scelto. Come si fa? Scegliendo, intraprendendo una strada e una direzione verso il fare inteso come agire o verso il conoscere inteso come interpretare. Interpretate quel silenzio della vertigine e del nulla dandogli un suono, quello della parola.

mercoledì 9 gennaio 2008

Al di là del bene e del male

"Perché tutte le cose sono battezzate alla sorgente dell'eternità e al di là del bene e del male: ma gli stessi bene e male non sono altro che ombre intermedie, umidi affanni e nuvole lente." Zarathustra, Nietezsche

Nietzsche propone un'etica che è appunto al di là del bene e del male, dove per bene e male si intende ciò che propone la dottrina "farisea" e cattolica della tradizione. Se la prende anche con i protestanti che hanno accentuato l'ideale positivo del progresso nel lavoro enfatizzandolo nel modo più esasperato nella cultura illuministica che però per Nietzsche è illusoria perché nasconde la miseria dell'uomo e lo convince di essere la creatura migliore sulla terra. Ma l'uomo misero per Nietzsche deve essere superato e bisogna arrivare all'etica dei migliori, degli aristocratici, dei più forti (di spirito naturalmente) ossia di coloro che sanno sopportare e accettare nonostante il tragico di ogni esistenza e andare avanti e creare valori quotidiani ma nello stesso tempo eterni perché voluti e scelti e legati al reale (Il senso della terra), a questo mondo. Nel libro "I Simpson e la filosofia" gli autori paragonano Lisa Simpson a Kant ed è sicuramente corretto. Lisa agisce per il dovere in sè ma ha anche una consapevolezza smaliziata del senso tragico della vita e dell'inutilità del suo agire secondo norme formali che la avvicina senza ombra di dubbio a Nietzsche. Diciamo che ha una ragione Kantiana e una coscienza Nietzschiana.
Nietzsche è stato anche profeta e ha previsto le guerre totali che si sarebbero riversate sull'uomo del XX secolo. Ma la sua previsione è stata così acuta da prevedere la distruzione totale di ogni valore seguita però dall'assoluto nulla? In "Children of men" è molto evidente questo scenario, non c'è più nulla per cui vale la pena vivere, l'uomo ha solo distrutto, ma cosa ha creato? Prevale la guerra di tutti contro tutti che ricorda sicuramente il pensiero di Hobbes piuttosto che quello di Nietzsche.
La lezione di Nietzsche si è realizzata nel modo migliore e quindi peggiore per quanto riguarda la distruzione ma poi il superuomo dove è? I nuovi valori quali sono? Quelli dei nostri politici che si beffeggiano, che si preoccupano più dei figli degli alleati e degli amori dei propri? O quelli dell'etica di Beautyful (la soap opera) dove tutto è lecito basta che emozioni (anche la morte, la resurrezione, l'incesto plurimo, la morale del più forte, non nel senso Nietzschiano ma in quello più becero della cattiveria senza nessuna giustificazione). Allora vale anche "Uomini e donne" di Maria De Filippi, tanto tutto fa brodo.
Davvero la nostra società è uno specchio di quella americana che si vede nei telefilm deprimenti di "sex and the city" o "desperate housewives"? Ci serve "Smallville" e Superman per farci sognare un mondo migliore?

mercoledì 2 gennaio 2008

Esiste Dio?

Letture ed amicizie mi portano in questa direzione lasciando una domanda senza risposta:
esiste Dio?
Per dire che una cosa esiste bisogna sapere cosa è quella cosa, quale sia la sua natura. Riflettere sulla natura di Dio fornisce la risposta sulla sua esistenza. Nella storia della filosofia abbiamo varie proposte che dimostrano l'esistenza di Dio o la confutano a seconda di ciò che si intende con il termine Dio e a seconda delle nostre capacità gnoseologiche e del criterio di verità attribuito ad ogni proposizione. Allora avremo autori atei che considerano Dio una mera illusione, il Novecento ne è assolutamente pregno, allo studente più attento ricercare nomi e origini del pensiero e avremo autori credenti.
Ecco la parola: credenti; il mistero di Dio non si risolve con la ragione ma presuppone la fede, perché qualsiasi assunto noi abbiamo di Dio, lo creiamo si con la ragione ma con essa non siamo in grado di dimostrarlo se non postulando un alcunché che si riferisce a Dio (ad es. Se Dio è l'essere perfetto, allora esiste). Ma abbiamo la prova che Dio è l'essere perfetto? No, lo postuliamo e allora? Bisogna crederci!