giovedì 27 settembre 2007

Il "bello" della televisione

Apriamo la televisione, volutamente uso il lessico americano perché è un mondo che viene a noi e cerchiamo qualcosa da guardare che ci piaccia. Gli addetti ai lavori fino a qualche decennio si preoccupavano di fare bella televisione e qualcuno ci crede ancora ma l'imperativo oggi è fare audience per sopravvivere. Quindi se noi siamo alla ricerca di un "bel" programma possiamo anche chiudere il mondo on tv perché i bei programmi, quelli per cui tutti siamo d'accordo nel dire: "oh, mi è davvero piaciuto, me lo sono goduto." non esistono più. Perché allora guardiamo prodotti televisivi che siamo in grado di giudicare mediocri se non trash? Cosa ci spinge a curiosare nella vita degli altri proiettata in video? Non certo il nostro senso estetico, quei programmi non ci piacciono, non li giudichiamo belli o piacevoli. Forse interessanti, coinvolgenti ma non belli. Non ci fermiamo a contemplare, ad assaporare quanto viene prodotto però li guardiamo. Perché restiamo fissi a seguire una storia strappalacrime sapendo che forse è una montatura o l'ultimo omicidio che diventa fenomeno mediatico a discapito delle vittime? Più che il piacere (tutto kantiano) nel guardare abbiamo bisogno freudianamente di proiettare le nostre disgrazie su quelle degli altri. Pensando che qualcuno sta peggio di noi, ci consoliamo: mal comune, mezzo gaudio. Guardando qualcuno che piange ci commuoviamo. Aveva ragion il buon vecchio Aristotele: la catarsi avviene sulle disgrazie altrui perché il peso di esse non ci appartiene, ne possiamo godere privandocene e sapendo che è finzione o che è di altri.