mercoledì 26 novembre 2008

Kierkegaard ci disse di scegliere

Viviamo nel mondo delle immagini, nel mondo dei guardoni. Il grande fratello è ovunque. Da facebook a Myspace e lifeintwo, tutti guardano tutti e godono. Godono di un'immagine vista, fantasticano su una storia on line, fatta di sesso virtuale, appena guardato e simulato. Tu sei tu, ma non sei tu. Basta un clic e tutto è spento, tutto se ne va. La seduzione si gioca sull'immagine e sul racconto, virtuali entrambi, falsati entrambi. Per l'immagine si cerca il lato migliore, il profilo migliore, l'apparizione migliore. Lì sorridevo va bene, non importa se ho una vita cupa. E allora tutti possono diventare tutto e niente, essere tutto e niente, godere di tutto e niente, alienarsi, spersonalizzarsi, essere nessuno, solo un'immagine virtuale che quando diventa reale si spenge alla noia del quotidiano. Il virtuale ci fa godere per quel che è: una finestra sul sogno, di essere altro, in un altro posto, in un altro momento, mai noi stessi. Ma Kierkegaard ci disse di scegliere: cosa vuoi essere un'immagine di seduzione o una persona?

sabato 11 ottobre 2008

Il bello secondo Kant e secondo noi

Il bello secondo Kant e secondo noi
Kant sostiene che il bello è ciò che si comunica universalmente. Se io ti dico: questo donna è bella. Anche se tu non la ritieni il tuo ideale di donna ma in lei ci sono delle caratteristiche che non ti infastidiscono, tu la giudichi bella come la giudico io. Kant, nella sua genialità, ha proposto l’universale negativo: basta che non nuoccia al senso estetico ossia che non infastidisca lo sguardo e si giudica bello anche se proprio non ci esalta, non eccita la nostra libido. Il bello è comunicabile socialmente, mi spiego: in una società che si evolve ci sono delle connotazioni di bello in cui tutti ci ritroviamo e che valgono per tutti noi. Per es. tutti giudichiamo bella Elisabetta Canalis così come Cristina Chiabotto, due icone diverse fra loro ma che incarnano la bellezza ai giorni nostri. Noi però, credo, abbiamo subito un mutamento nel nostro provar piacere di fronte al bello, ci piacciono cose nuove, diverse rispetto ai nostri antenati. Ci piace il trash. Siamo capaci di giudicare bello, ossia che non ci infastidisce, “L’isola dei Famosi” e “La talpa”, nonostante possiamo essere in disaccordo sul fatto che siano belle trasmissioni ossia ben fatte, piacevoli da guardare. Non ci infastidiscono e le guardiamo . ma questo basta per dire che sono belle? Indagando Kant mi sovviene alla mente il fatto che lui giudicasse bello anche qualcosa che è in armonia con il buono che troviamo in noi. Ma siccome in noi di buono c’è gran poco oramai, ci troviamo in armonia con il trash.

sabato 13 settembre 2008

Amor e psiche

La favola di Amore e Psiche affascina studenti di tutte le generazioni. La si potrebbe riprodurre in versione bloggara: psiche come autrice dei post e amore lì a commentare, decantandone le lodi razionali e belle. Amore ricorda Dioniso e Pische, Apollo, nella sua purezza razionale ma limitata e lui nel suo furor d'amore come ci insegna Giordano Bruno che dell'amore ne ha fatto un vanto e l'ha tradotto in filosofia. Perché amare? Amare è bello in tutte le sue forme: dalle più carnali alle spirituali, basta amare. Allora perché non amar il bel ragionamento che il filosofar produce, che se poi portato in rete, ad amore del commento conduce. E' uscito un post in rima perché anche la scrittura gode se in bella forma. Introduciamo il nuovo anno con la passion che ci adorna. Restiamo attaccati alla ragione e alle sue forme belle che amor ci aiuta a seguirne le arti in tutte le sue facce grasse e snelle. Destreggiamoci nell'arte del bello ragionare e chissà che amor non arrivi anche per noi con il saper da farci amare.

martedì 3 giugno 2008

la moda secondo Gadamer

Chi ha letto “Verita e metodo” (1960) oppure ha sentito il termine Ermeneutica, ha come minimo una vaga idea di ciò che vado ad affrontare. Ma spero di rendere chiari i concetti anche a coloro che Gadamer non lo hanno mai letto. Mi è venuta l’idea di applicare il circolo ermeneutico, che l’autore applica ai libri di testo, alla moda e al suo mondo che può essere visto come un circolo dove però si interpreta anche il soggetto. Così come il lettore domanda senso al testo, gli chiede cosa significa questo e quello, si pone domande a cui il testo risponde, lo stesso fa chi indossa un abito il mattino o meglio lo acquista, chiede all’abito di interpretare uno stile, di rispondere ad una domanda di conferimento di senso: io chiedo all’abito di supplire una determinata funzione. Essere pratico o elegante, adatto a quella o questa circostanza. Ma chiedo ad esso anche un senso: gli chiedo di interpretare il mio stile. L’abito risponde a questa esigenza. La sua risposta non è direttamente soddisfazione di una domanda di senso ma lo è indirettamente perché fornisce senso a me che lo indosso, mi interpreta e io mi sento interpretato da esso. La differenza fra il testo interpretato dal lettore secondo Gadamer e l’abito interpretato da me è che il vero senso viene ricevuto da chi indossa l’abito e non tanto dall’abito stesso che rimane un oggetto, un mezzo; esso parla attraverso la persona che lo indossa, ne rivela uno stile, un carattere, una personalità peculiare. Quindi il vero interpretato è il cliente. La persona che acquista un abito perché esso gli regala uno stile, conferisce senso alla sua ricerca di stile, alla sua domanda: che stile indosso? Che stile rappresento? E lo riferisce anche a chi guarda. Allora la domanda è rivolta a chi guarda colui che indossa l’abito e la la domanda dell’osservatore è: ma chi sei? e l’abito insieme all’uomo risponde e il circolo si chiude. L’abito acquista senso grazie a chi lo indossa e a chi osserva colui che indossa. Diventa un quadrato costruito da abito, indossatore, osservatore, domanda-risposta che si rivolge in tutte le direzioni.



è come se ci fossero due livelli di interrogazione: quello centrale che va dalla domanda alla risposta, fornita dall’abito all’osservatore grazie all’indossatore e il secondo livello sotteso ma altrettanto importante che va dall’osservatore all’abito all’indossatore, che si interroga su di sé, e si fornisce una risposta, grazie all’abito, alla domanda: quale è il mio stile? Infine egli regala la propria risposta a chi osserva.

domenica 11 maggio 2008

La scelta della donna

"Troppo a lungo nella donna si celarono uno schiavo e un tiranno. Perciò la donna non è ancora capace di amicizia; essa conosce solo l'amore. Nell'amore della donna è ingiustizia e cecità per tutto ciò che essa non ama. E anche nell'amore cosciente della donna c'è sempre, insieme con la luce, aggressione, lampo, e notte. La donna non è ancora capace di amicizia: le donne sono sempre gatte, e uccelli. O, nel migliore dei casi, vacche" (Nietzsche, Zarathustra).

Una visione della donna niente affatto lusinghiera ma a tratti acuta caratterizza questo passo dello Zarathustra dedicato all'essere femminile. Come se nella femminilità si fosse concentrato tutto ciò che è corrosivo. La donna secondo Nietzsche distrugge, è solo l'uomo colui che crea nell'accezione dell'oltre-uomo. La donna non si purifica dai propri difetti e dalle proprie debolezze, l'uomo solo è in grado di purificarsi e di divenire profeta del proprio cambiamento e rinnovamento.
La società non ha mutato di molto l'impressione che Nietzsche ebbe della donna. Ma le donne sono consapevoli di se stesse? Si riconoscono in questa accezione e dissentono da essa? La donna ha attitudini e modalità di espressione e comportamento diverse dall'uomo ma condivide con lui valori e con lui li crea. Io ritengo che la donna sia portatrice di senso; basti pensare alle donne in politica e nelle scienza nonché nella letteratura, donne che anche lo stesso Nietzsche avrebbe definito superuomini. Nonostante ciò in momenti di crisi sociale ed economica si vuole relegare la donna ad un ruolo marginale, impedirle di scegliere di svolgere mansioni di primo piano.
E le donne stesse si accontentano di questi ruoli. Perché? La società le ha indotte a combattere per ottenere ruoli, posizioni e riconoscimenti che a tratti sfumano e a tratti permangono, dando la sensazione che ci sia un nulla di fatto. Alla donna spettano troppi ruoli nei quali si barcamena con successo anche ma che la sfiancano e a volte si chiede se vale ancora la pena di lottare; l'eterno ritorno di Nietzsche prevede anche il regresso? Io credo di si. E la donna è pronta a regredire al ruolo di madre, se necessario ma non può esserle tolta la parola, il diritto alla scelta, il diritto di creare senso autonomamente e propriamente attraverso un'azione che sia sua e non frutto del pesante consiglio maschile che si traduce in un obbligo per tutelare un diritto: quello della supremazia che la civiltà nega ma che la natura urla. Il machismo non è mai morto.

mercoledì 30 aprile 2008

la storia soggettiva

Una volta si diceva: E se la guerra l’avesse vinta Hitler? Ora si dice: e se la storia del dopoguerra l’avesse scritta Hitler? Ha provato a farlo Piergiorgio Odifreddi, matematico e opinionista dei più acuti a mio parere, che ha scritto la storia del dopoguerra intervistando il dittatore e ne sono uscite delle belle: gli Usa, i veri maestri del genocidio e della democrazia imposta.
Non sono novità, direte voi. No, non lo sono..ma stranamente se ne parla sempre poco e i più ricordano l’olocausto e non lo sterminio degli indiani d’America o quello degli aztechi in nome della croce e non solo. La storia del Vietnam sentita da vietnamiti deve essere nuova musica per le orecchie e gli occhi abituati ai polpettoni alla Spielberg. E allora perché non proviamo a guardare la storia anche con gli occhi altrui? Forse vedremo un mondo nuovo, sicuramente diverso.


Il postino Mario diceva a Neruda che la poesia è di chi la usa (Il postino) e io dico parafrasando Odifreddi che la storia è di chi la scrive, che se ne impossessa e la fa sa sua per giustificare le proprie scelte alla luce de poi e non dell’ora e dell’adesso.

lunedì 21 aprile 2008

La personal shopper e la dialettica servo-padrone

Il servo ha paura della morte e si pone inerte di fronte all’essere della natura che lo sovrasta. La personal stopper è inerte di fronte alla vetrina e non può’ comprare nulla. È piegata dal carovita. Non ha paura di morire di fame, fra poco ci muore davvero. Il padrone domina il mondo e piega il servo al suo volere, il quale preferisce obbedire piuttosto che affrontare la vita e la morte. La personal shopper è piegata al potere del denaro della signora che serve. Non ha di che realizzarsi e quindi realizza i desideri di qualcun altro. Il servo produce per il suo signore e crea qc che assume una forma: un oggetto, un pranzo, un abito. Diventa artefice e il suo oggetto è indipendente da lui. Ha finalmente creato qc di suo che è frutto del suo fare e si sente realizzato perché ha messo in atto le proprie capacità formatrici. Ma la personal shopper di cosa dovrebbe sentirsi fiera? Che cosa ha realizzato? Lo stile della sua signora? Se la signora non ne ha. Se la signora la lascia fare. Se non è una mera esecutrice ma una realizzatrice di moda e stile, se il suo acquisto è libero come diventa libero il servo quando crea, libero dal prodotto di cui non gode e libero dal signore da cui si allontana avendo ora un modo suo di dominare la vita, la propria creatività. La personal shopper è creativa? In un certo senso si. Crea stili. E allora la via per rendersi davvero indipendente e realizzarsi non è restare al fianco della signora di cui ne subisce le facoltà (in termini di gusto e denaro) ma creare un’attività sua propria magari come consulente d’immagine.